lunedì 30 novembre 2009

«La cattiva figlia»

«[...]E però se fino ad allora mi ero limitata a subire quelle vecchie storie di famiglia, forse perché non avevo mai avuto il tempo, la voglia, la necessità di valutarle nel loro significato globale, ora cominciai ad ascoltarle criticamente nei confronti miei e di mio padre finendo per correggere il mio punto di vista sull'importanza che la mamma aveva avuto nella nostra famiglia. Durante le tante ore trascorse immergendomi con lei nel passato fui turbata dai sentimenti più diversi: pietà, comprensione, ammirazione, divertimento, tenerezza, irritazione, indignazione, rimpianto, dolore; un dolore che spesso, goffamente, manifestai sotto forma di rabbia, con aggressioni verbali e rimproveri perché mi riusciva difficile sovrapporre l'immagine della donna scontenta, ansiosa, meticolosa, abitudinaria, a quella che emergeva dalla narrazione e che a sua volta evocava altre immagini e situazioni di cui lei non parlava, che sembrava aver dimenticato, ma che, depositate nella mia memoria, tornavano alla superficie assieme al ricordo confuso di episodi sentiti sussurrare in casa quand'ero bambina e poi negati o ridimensionati ma che tutti assieme servivano a completare il mosaico»
da "La cattiva figlia" di Carla Cerati, 1990 Frassinelli , p.117-118.

domenica 29 novembre 2009

Domande

«E la mamma come sta?»
«Come al solito. Accontentarsi che rimanga stabile»
«È fortunata ad avere te. Ma è una malattia ereditaria?»
Risposi gentilmente, ricordo. Anche se fu una doccia gelata.

sabato 28 novembre 2009

Oggi è un giorno grigio.
Oggi vedo come te.
La mia paura mi inchioda
a questa finestra e non riesco a pensare.
Pensare mi fa male.
Mi mette davanti ad uno specchio
e l'altra me mi guarda,
mi scruta, mi giudica.
Cerco la mia bambina perduta.
La devo abbracciare, consolare.
Cosa ti hanno fatto?

venerdì 27 novembre 2009

Identità

Giugno 2007, profumo d'estate nell'aria, bambini in giardino, riflessioni sul significato della mia vita, di quella di una donna giovane malata di Alzheimer con la quale lavoravo. La sua identità in frantumi, il mio cercare di raccoglierne i pezzi, tenerli da parte. E i miei pezzi?

"In terrazzo, guardo di sotto.
Te lo ricordi il volo dell'Angelo? E mi portasti piume bianche per le mie ali.
Guardo e vedo colori, natura, oggetti, figure in movimento. Ascolto.
Ho passato la vita ad ascoltare. Annusare, sentire.
L'odore della pioggia in cortile, improvvisa, d'estate.
Mi sentivo Dio, stesa, braccia e gambe spalancate. Acqua sul viso, sul corpo.
L'Angelo è pazzo. Non vola, e si bagna le ali. Piangevi.
Fa caldo oggi, un caldo che toglie lucidità.
Un filo d'aria si infila sotto la mia camicia di lino bianco, chiusa da un solo bottone.
Edoardo attraversa il giardino, risponde al mio saluto dall'alto, senza vedermi.
Mi cerca con gli occhi, questo cucciolo di uomo.
Edoardo che varca la soglia e sparisce.
Lascia il posto ai fantasmi.
Il paesaggio scolora adesso,
i suoni, quelli li sento ancora, diventano rumori, amplificati.
Le grida degli uccelli che volano bassi mi graffiano dentro.
I nervi tesi, l'aria che torna a farsi calda, feroce.
Quello che prima era leggero, scorrere esterno di immagini,
si condensa in un grumo di dolore fermo in gola
che mi arriva non so bene da dove.
Ma quando arriva io perdo il controllo. Sono solo questa ossessione.
E non so parlare d'altro, non sento altro dentro.
Ho rubato due matite colorate oggi. Una blu ed una rossa.
Nuove e lucide, per un pò ci ho giocato, mentre osservavo il delirio.
Mentre mi chiedevo il senso di tutto questo.
Al termine del nostro tempo insieme,
io a raccogliere oggetti d'ogni tipo sparsi per la palestra,
tu, disperata, in lacrime, piena di rabbia e voracità,
ho infilato le matite dentro lo zaino, tra i miei libri.
Le riprendo in mano adesso, mi piace l'odore del legno naturale.
Disegno un profilo stilizzato intorno alla foto dei miei occhi.
Mi ri-disegno. Senza più maschere, ormai la pelle è ricresciuta.
Mangiando la frutta ho macchiato il foglio. Pulisco, lo buco.
Come da piccola, a cancellare sino a consumare la carta.
Guardo attraverso questo buco assurdo, mi cerco da qualche parte.
Dall'altra parte, sempre. Io che dentro ai buchi ci cado da una vita.
Ma qualcuno dovrà pur caderci dentro,
è la natura dei buchi quella di essere riempiti.
Quale altro senso avrebbero altrimenti?"
Sono stata molto incerta sul tema da scegliere per questo blog. Avrei potuto scegliere qualcosa di semplice, sbrigativo, un qualsiasi tema sociale con una buona rilevanza mediatica. Giocare al copia incolla. Suggerire qualche riflessione leggera. Siamo sommersi dall'informazione, lavoro nel sociale da molti anni, eppure non mi riesce di fare qualcosa di poco impegnativo, qualcosa che sia estraneo al mio sentire. Ogni strada che percorro, mi vede coinvolta in prima persona, partecipe con tutta me stessa. Il tema non è semplice, o lo è solo apparentemente. Si presta a molte interpretazioni, una per ognuna delle persone che vorranno lasciare la propria esperienza, il proprio passaggio su questa strada.

Narrazione.

Della nostra esperienza di uomini e donne. Per ripensare la nostra vita. Per mettere quella distanza necessaria a farci comprendere. Per comprendere il dolore e la vita di chi assistiamo, curiamo, amiamo.
Perchè prendersi cura dell'altro presuppone una cura di sè. E non sempre questo succede. Spesso siamo soli nel nostro compito.

Questo vuole essere un luogo in cui stare soli in gruppo, in una condivisione libera da consigli, giudizi, sentenze. Uno spazio di ascolto muto.
Questo sarà uno spazio protetto in cui trovare rispecchiamento e comprensione.