Sono sempre stato Mario che guarda fuori.
Il mondo che passa, che scivola via silenzioso. Mario che ancora non arriva al tavolo, Mario triste, con gli occhi grandi, che trascina una sedia vicino alla finestra. Io sono Mario, in piedi, riflesso sul vetro, d'inverno a guardare le barche inghiottite dal mare. Io sono Mario, d'estate, con occhi e narici spalancati, a riempirmi di grida e colori.
Quando non guardavo fuori, disegnavo sul tavolo di marmo rosa. Nonna sorrideva, seduta accanto al fuoco. Mi raccontava del nonno che non avevo mai visto, di grandi imprese e di uomini strappati alla morte. Poi, nascosta dai silenzi e dalla minestra da girare, si affrettava ad asciugare le lacrime.
Io disegnavo enormi draghi dai colori del fuoco e del sangue. Ed il nonno vestito d'argento con una spada scintillante. Erano i disegni per la nonna, per consolarla del vuoto.
Lei li appendeva alla specchiera in camera, tra le foto e i libri delle preghiere.
Pregavamo insieme mattino e sera, in ginocchio sul morbido tappeto, alla luce della candela come piaceva a lei. Dopo le preghiere finivamo col raccontarci una storia, tra baci e promesse.
Sotto le coperte rivedevo il mondo scivolare via.
martedì 29 dicembre 2009
domenica 27 dicembre 2009

Grande scrittore americano tra i meno letti, Richard Yates. Personaggi grigi, apatici. Personaggi che fanno paura. Personaggi, storie, che fanno pensare.
“Del nuovo ragazzo era stato detto a Miss Price soltanto che aveva passato gran parte dei suoi anni in un orfanotrofio, e che gli “zii” piuttosto anziani con cui viveva ora erano in realtà genitori adottivi, pagati dall’ente pubblico di assistenza della città di New York. Un’ insegnante meno appassionata e con minor fantasia avrebbe cercato di sapere qualcosa di più, ma Miss Price si accontentò. Era bastato quel rapido profilo a suscitare in lei uno spirito missionario che cominciò a trasparirle dagli occhi, chiaro come l’amore, fin dalla prima mattina in cui il ragazzo si presentò in classe. [… ]”
Undici solitudini, richard Yates
venerdì 11 dicembre 2009
Mi prendo del tempo oggi. Mi riapproprio del mio tempo. Rallento, mi fermo. All'inizio sono spaesata. Questo silenzio mi assorda, la tentazione di interromperlo è forte. Poi passa, accarezzo i miei libri, mi rileggo. Mi sfoglio. Ho sparso pezzi di me ovunque, nei cassetti, nelle borse, in biglietti nascosti tra i libri, scatole e scatole di fotografie, negativi, rullini non sviluppati.
"Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita".
Raymond Carver
"Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita".
Raymond Carver
storie ed energia
...diceva Derrida che tutto quello che è percepito come non-risolto genera una grande energia.
Raccontare storie libera questa energia e la rende produttiva ed impedisce che ci faccia del male, sopratutto se le storie che racocntiamo sono le "nostre" storie.
un caro saluto
Raccontare storie libera questa energia e la rende produttiva ed impedisce che ci faccia del male, sopratutto se le storie che racocntiamo sono le "nostre" storie.
un caro saluto
martedì 8 dicembre 2009
«Dentro di me c’è una melodia che a volte vorrebbe tanto essere tradotta in parole sue. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta.[…] A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole. A volte mi sembra che ogni parola che viene detta, e ogni gesto che viene fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace»
Etty Hillesum
Etty Hillesum
venerdì 4 dicembre 2009
Le ore mi scivolano addosso e le sue parole sono come lame affilate che si rigirano nella mia piaga. E' più giusto parlare o starsene zitti? "Ogni cosa dirai potrebbe essere usata contro di te". E' più sano fare finta di essere quello che non sei?
Ho vissuto facendo quello che gli altri si aspettavano da me. Ho riso e pianto a comando. Da quando ho memoria sono convinta che non sarò mai all'altezza della situazione. Ho passato la mia vita a cercare di essere all'altezza delle aspettative di tutti. Quando ero piccola c'era sempre mia cugina Teresa che sicuramente era più brava, più intellegente, più bella di me. Adesso che sono grande (vecchia), ho sempre qualcuno che mi fa sentire inadeguata. Sarà il mio destino o è vero che "chi pecora si fa lupo se la mangia"?
La ragione è sempre del più forte? Di qualche novello Gorgia che ti ubriaca di parole, di discorsi fuori da ogni umana comprensione, forbiti al punto giusto per non fare capire agli altri che quello col complesso di inadeguatezza è proprio chi sta parlando?
Ho vissuto facendo quello che gli altri si aspettavano da me. Ho riso e pianto a comando. Da quando ho memoria sono convinta che non sarò mai all'altezza della situazione. Ho passato la mia vita a cercare di essere all'altezza delle aspettative di tutti. Quando ero piccola c'era sempre mia cugina Teresa che sicuramente era più brava, più intellegente, più bella di me. Adesso che sono grande (vecchia), ho sempre qualcuno che mi fa sentire inadeguata. Sarà il mio destino o è vero che "chi pecora si fa lupo se la mangia"?
La ragione è sempre del più forte? Di qualche novello Gorgia che ti ubriaca di parole, di discorsi fuori da ogni umana comprensione, forbiti al punto giusto per non fare capire agli altri che quello col complesso di inadeguatezza è proprio chi sta parlando?
lunedì 30 novembre 2009
«La cattiva figlia»
«[...]E però se fino ad allora mi ero limitata a subire quelle vecchie storie di famiglia, forse perché non avevo mai avuto il tempo, la voglia, la necessità di valutarle nel loro significato globale, ora cominciai ad ascoltarle criticamente nei confronti miei e di mio padre finendo per correggere il mio punto di vista sull'importanza che la mamma aveva avuto nella nostra famiglia. Durante le tante ore trascorse immergendomi con lei nel passato fui turbata dai sentimenti più diversi: pietà, comprensione, ammirazione, divertimento, tenerezza, irritazione, indignazione, rimpianto, dolore; un dolore che spesso, goffamente, manifestai sotto forma di rabbia, con aggressioni verbali e rimproveri perché mi riusciva difficile sovrapporre l'immagine della donna scontenta, ansiosa, meticolosa, abitudinaria, a quella che emergeva dalla narrazione e che a sua volta evocava altre immagini e situazioni di cui lei non parlava, che sembrava aver dimenticato, ma che, depositate nella mia memoria, tornavano alla superficie assieme al ricordo confuso di episodi sentiti sussurrare in casa quand'ero bambina e poi negati o ridimensionati ma che tutti assieme servivano a completare il mosaico»
da "La cattiva figlia" di Carla Cerati, 1990 Frassinelli , p.117-118.
domenica 29 novembre 2009
Domande
«E la mamma come sta?»
«Come al solito. Accontentarsi che rimanga stabile»
«È fortunata ad avere te. Ma è una malattia ereditaria?»
Risposi gentilmente, ricordo. Anche se fu una doccia gelata.
sabato 28 novembre 2009
venerdì 27 novembre 2009
Identità
Giugno 2007, profumo d'estate nell'aria, bambini in giardino, riflessioni sul significato della mia vita, di quella di una donna giovane malata di Alzheimer con la quale lavoravo. La sua identità in frantumi, il mio cercare di raccoglierne i pezzi, tenerli da parte. E i miei pezzi?
"In terrazzo, guardo di sotto.
Te lo ricordi il volo dell'Angelo? E mi portasti piume bianche per le mie ali.
Guardo e vedo colori, natura, oggetti, figure in movimento. Ascolto.
Ho passato la vita ad ascoltare. Annusare, sentire.
L'odore della pioggia in cortile, improvvisa, d'estate.
Mi sentivo Dio, stesa, braccia e gambe spalancate. Acqua sul viso, sul corpo.
L'Angelo è pazzo. Non vola, e si bagna le ali. Piangevi.
Fa caldo oggi, un caldo che toglie lucidità.
Un filo d'aria si infila sotto la mia camicia di lino bianco, chiusa da un solo bottone.
Edoardo attraversa il giardino, risponde al mio saluto dall'alto, senza vedermi.
Mi cerca con gli occhi, questo cucciolo di uomo.
Edoardo che varca la soglia e sparisce.
Lascia il posto ai fantasmi.
Il paesaggio scolora adesso,
i suoni, quelli li sento ancora, diventano rumori, amplificati.
Le grida degli uccelli che volano bassi mi graffiano dentro.
I nervi tesi, l'aria che torna a farsi calda, feroce.
Quello che prima era leggero, scorrere esterno di immagini,
si condensa in un grumo di dolore fermo in gola
che mi arriva non so bene da dove.
Ma quando arriva io perdo il controllo. Sono solo questa ossessione.
E non so parlare d'altro, non sento altro dentro.
Ho rubato due matite colorate oggi. Una blu ed una rossa.
Nuove e lucide, per un pò ci ho giocato, mentre osservavo il delirio.
Mentre mi chiedevo il senso di tutto questo.
Al termine del nostro tempo insieme,
io a raccogliere oggetti d'ogni tipo sparsi per la palestra,
tu, disperata, in lacrime, piena di rabbia e voracità,
ho infilato le matite dentro lo zaino, tra i miei libri.
Le riprendo in mano adesso, mi piace l'odore del legno naturale.
Disegno un profilo stilizzato intorno alla foto dei miei occhi.
Mi ri-disegno. Senza più maschere, ormai la pelle è ricresciuta.
Mangiando la frutta ho macchiato il foglio. Pulisco, lo buco.
Come da piccola, a cancellare sino a consumare la carta.
Guardo attraverso questo buco assurdo, mi cerco da qualche parte.
Dall'altra parte, sempre. Io che dentro ai buchi ci cado da una vita.
Ma qualcuno dovrà pur caderci dentro,
è la natura dei buchi quella di essere riempiti.
Quale altro senso avrebbero altrimenti?"
"In terrazzo, guardo di sotto.
Te lo ricordi il volo dell'Angelo? E mi portasti piume bianche per le mie ali.
Guardo e vedo colori, natura, oggetti, figure in movimento. Ascolto.
Ho passato la vita ad ascoltare. Annusare, sentire.
L'odore della pioggia in cortile, improvvisa, d'estate.
Mi sentivo Dio, stesa, braccia e gambe spalancate. Acqua sul viso, sul corpo.
L'Angelo è pazzo. Non vola, e si bagna le ali. Piangevi.
Fa caldo oggi, un caldo che toglie lucidità.
Un filo d'aria si infila sotto la mia camicia di lino bianco, chiusa da un solo bottone.
Edoardo attraversa il giardino, risponde al mio saluto dall'alto, senza vedermi.
Mi cerca con gli occhi, questo cucciolo di uomo.
Edoardo che varca la soglia e sparisce.
Lascia il posto ai fantasmi.
Il paesaggio scolora adesso,
i suoni, quelli li sento ancora, diventano rumori, amplificati.
Le grida degli uccelli che volano bassi mi graffiano dentro.
I nervi tesi, l'aria che torna a farsi calda, feroce.
Quello che prima era leggero, scorrere esterno di immagini,
si condensa in un grumo di dolore fermo in gola
che mi arriva non so bene da dove.
Ma quando arriva io perdo il controllo. Sono solo questa ossessione.
E non so parlare d'altro, non sento altro dentro.
Ho rubato due matite colorate oggi. Una blu ed una rossa.
Nuove e lucide, per un pò ci ho giocato, mentre osservavo il delirio.
Mentre mi chiedevo il senso di tutto questo.
Al termine del nostro tempo insieme,
io a raccogliere oggetti d'ogni tipo sparsi per la palestra,
tu, disperata, in lacrime, piena di rabbia e voracità,
ho infilato le matite dentro lo zaino, tra i miei libri.
Le riprendo in mano adesso, mi piace l'odore del legno naturale.
Disegno un profilo stilizzato intorno alla foto dei miei occhi.
Mi ri-disegno. Senza più maschere, ormai la pelle è ricresciuta.
Mangiando la frutta ho macchiato il foglio. Pulisco, lo buco.
Come da piccola, a cancellare sino a consumare la carta.
Guardo attraverso questo buco assurdo, mi cerco da qualche parte.
Dall'altra parte, sempre. Io che dentro ai buchi ci cado da una vita.
Ma qualcuno dovrà pur caderci dentro,
è la natura dei buchi quella di essere riempiti.
Quale altro senso avrebbero altrimenti?"
Sono stata molto incerta sul tema da scegliere per questo blog. Avrei potuto scegliere qualcosa di semplice, sbrigativo, un qualsiasi tema sociale con una buona rilevanza mediatica. Giocare al copia incolla. Suggerire qualche riflessione leggera. Siamo sommersi dall'informazione, lavoro nel sociale da molti anni, eppure non mi riesce di fare qualcosa di poco impegnativo, qualcosa che sia estraneo al mio sentire. Ogni strada che percorro, mi vede coinvolta in prima persona, partecipe con tutta me stessa. Il tema non è semplice, o lo è solo apparentemente. Si presta a molte interpretazioni, una per ognuna delle persone che vorranno lasciare la propria esperienza, il proprio passaggio su questa strada.
Narrazione.
Della nostra esperienza di uomini e donne. Per ripensare la nostra vita. Per mettere quella distanza necessaria a farci comprendere. Per comprendere il dolore e la vita di chi assistiamo, curiamo, amiamo.
Perchè prendersi cura dell'altro presuppone una cura di sè. E non sempre questo succede. Spesso siamo soli nel nostro compito.
Questo vuole essere un luogo in cui stare soli in gruppo, in una condivisione libera da consigli, giudizi, sentenze. Uno spazio di ascolto muto.
Questo sarà uno spazio protetto in cui trovare rispecchiamento e comprensione.
Narrazione.
Della nostra esperienza di uomini e donne. Per ripensare la nostra vita. Per mettere quella distanza necessaria a farci comprendere. Per comprendere il dolore e la vita di chi assistiamo, curiamo, amiamo.
Perchè prendersi cura dell'altro presuppone una cura di sè. E non sempre questo succede. Spesso siamo soli nel nostro compito.
Questo vuole essere un luogo in cui stare soli in gruppo, in una condivisione libera da consigli, giudizi, sentenze. Uno spazio di ascolto muto.
Questo sarà uno spazio protetto in cui trovare rispecchiamento e comprensione.
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